Secondo la Cassazione l’animale domestico è un “bene di consumo”

Secondo la Cassazione l’animale domestico è un “bene di consumo”
05 Novembre 2018: Secondo la Cassazione l’animale domestico è un “bene di consumo” 05 Novembre 2018

Con la sentenza n. 22728/18, la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione ha affermato per la prima volta l’applicabilità della normativa prevista dal c.d. Codice del Consumo alla vendita di animali di affezione.

Nel caso deciso dalla Corte un privato aveva acquistato da una società un cane di razza “Pinscher”, che successivamente era risultato affetto da una grave cardiopatia congenita.

L’acquirente aveva quindi convenuto a giudizio il venditore, al fine di ottenere la parziale restituzione del prezzo ed il risarcimento del danno.

Tuttavia, in primo grado la domanda era stata rigettata dal Giudice di Pace, con sentenza poi confermata anche in appello, con una motivazione che rilevava come la denuncia del “vizio” fosse intervenuta tardivamente, ossia oltre il termine di otto giorni dalla scoperta previsto dall’art. 1495 c.c..

Infatti, secondo entrambi i giudici di merito, il compratore, che aveva scoperto della grave patologia del cane in occasione di un esame TAC effettuato a quasi un anno di distanza dall’acquisto, avrebbe denunciato il citato vizio tardivamente, a distanza di 14 giorni dalla scoperta.

Il compratore presentava quindi ricorso per cassazione, deducendo, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 1496 c.c. e degli artt. 128 e 135 D.lgs. 6 settembre 2005 (c.d. Codice del Consumo), per avere il Tribunale ritenuto che la prima delle anzidette disposizioni, nel disciplinare la vendita di animali, derogasse alla disciplina dettata dal Codice del Consumo e, di conseguenza, che il termine di decadenza per la denunzia dei vizi della cosa venduta fosse quello previsto dal codice civile.

La Corte di Cassazione ha ritenuto invece di accogliere le censure presentate dal compratore, rilevando anzitutto come l’animale, che pure viene riconosciuto come “essere senziente”, non può tuttavia essere considerato quale soggetto di diritti, in quanto privo della “capacità giuridica”, cioè dell’attitudine ad essere titolare di diritti e di obblighi, che sarebbe riservata dall’ordinamento giuridico alle sole persone fisiche o giuridiche.

Pertanto, l’animale deve essere considerato un “bene” in senso giuridico, rientrando, ai sensi dell’art. 810 c.c., tra le cose che possono formare oggetto di diritti.

Ciò posto, la Cassazione ha ricordato che l'art. 128 del Codice del Consumo stabilisce che per "bene di consumo" si intende "qualsiasi bene mobile", e per "venditore" "qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1" (contratti di vendita, permuta, somministrazione, appalto etc.).

Inoltre, ai sensi dell'art. 3 del Codice del Consumo, per "consumatore" si intende poi "la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta".

Pertanto, considerate le ampie nozioni di "consumatore", di "bene di consumo" e di "venditore" adottate dal codice del consumo, così come anche interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, “non può dubitarsi che la persona fisica che acquista un animale da compagnia (o d'affezione), per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, vada qualificato a tutti gli effetti "consumatore"; e che vada qualificato "venditore", ai sensi del codice del consumo, chi nell'esercizio del commercio o di altra attività imprenditoriale venda un animale da compagnia; quest'ultimo, peraltro, quale "cosa mobile" in senso giuridico, costituisce "bene di consumo"”.

Di conseguenza, “la compravendita di animali da compagnia o d'affezione, ove l'acquisto sia avvenuto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata dal compratore, è regolata dalle norme del codice del consumo, salva l'applicazione delle norme del codice civile per quanto non previsto”.

Ove l’acquirente quindi sia un mero consumatore finale, la denuncia del difetto della cosa venduta è soggetta al termine di decadenza di due mesi dalla data della scoperta, secondo quando stabilito dall’art. 132 del Codice del Consumo, e non a quello ben inferiore, di soli 8 giorni, previsto dall’art. 1495 c.c..

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dal compratore e rinviato al Tribunale per l’applicazione dei principi di diritto sopra enunciati.

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